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Il mito del buon governo rosso/Umbria: coop rosse e massoneria

by Michael Mocci
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pgPerugia, 31 gen – Un tempo l’Umbria era considerata “un’isola felice”, oggi è al centro del traffico internazionale di stupefacenti, con il suo capoluogo, Perugia, al primo posto italiano per morti di overdose. Ma oltre la droga c’è molto di più: clientelismo in ambito pubblico e privato, una massoneria pressante e continue inchieste sulla gestione dei fondi pubblici che fanno tremare i vertici della Regione. Ne parliamo con Claudio Lattanzi, giornalista 43enne, autore del libro-inchiesta “I padrini dell’Umbria” che per mesi è stato in cima alle classifiche di vendita.

 

 

 Chi sono i padrini dell’Umbria?

I padrini dell’Umbria sono gli uomini del Partito democratico che in questa regione controllano tutte le leve del potere attraverso un sistema capillare e diffuso che è incentrato, in prima battuta, su una macchina amministrativa-burocratica gigantesca e pervasiva. A partire dagli anni settanta ad oggi è stato edificato un metodo di gestione degli enti pubblici e una loro moltiplicazione degenerata che è stata sostenuta da una spesa pubblica piegata alle dinamiche del consenso. Ancora oggi, come certifica l’ultima relazione della Banca d’Italia per il 2013, i dipendenti pubblici dell’Umbria incassano gli stipendi più alti della media delle regioni a statuto ordinario. Mentre nelle altre regioni ci sono 191 dipendenti pubblici ogni 10 mila abitanti, in Umbria ce ne sono 219 e questo è solo uno degli esempi. Mentre all’esterno si ha l’immagine di una regione idilliaca e virtuosa, la realtà è del tutto opposta. Il conformismo degli umbri la cui cultura della subalternità rispetto a chi detiene il comando è stata plasmata dai rapporti sociali della mezzadria da cui deriva l’interiorizzazione dell’idea del “padrone”, ha favorito l’ascesa di un ceto politico parassitario, e ideologizzato di estrazione post comunista che è incapace di trovare strade diverse per il futuro di questa comunità al di fuori della logica della spesa pubblica.

Quali sono i settori controllati da questo sistema di potere?

In Umbria c’è un settore pubblico esteso in ogni ambito che si basa sulle istituzioni locali, le aziende sanitarie e le società partecipate le cui fila vengono tenute da una cerchia ristretta di uomini di partito. A questa realtà è legato a filo doppio il sistema delle cooperative rosse cioè la galassia della Lega Cooop che ha in Giorgio Raggi il suo dominus e nella grande distribuzione e nella cooperazione sociale i suoi business di riferimento. Tra gli uomini del partito e i manager delle Coop non c’è solo un enorme e diffuso conflitto d’interesse e collateralismo, ma una completa osmosi e coincidenza. Basti pensare che Raggi è stato sindaco comunista di Foligno o che la governatrice Catiuscia Marini è la direttrice regionale in aspettativa di Lega Coop i cui vertici umbri erano sempre designati tra i segretari uscenti della federazione provinciale perugina del partito comunista. Anche la vicenda giudiziaria che coinvolge Maria Rita Lorenzetti per l’Alta velocità di Firenze tira in ballo presunti favoritismi accordati alle potenti coop rosse, general contractor della Tav da parte dell’ex governatrice umbra. In Umbria, il partito democratico è l’estensione politica delle Coop rosse che hanno conquistato spazi dominanti nella grande distribuzione rispetto ai concorrenti grazie alla politica e che hanno rapporti economici tramite convenzioni con gli enti pubblici (Asl in testa) nella misura di oltre l’85 degli affidamenti rispetto alla Confcooperative. Il tutto anche in virtù di un sistema legislativo regionale studiato su misure degli interessi di questa realtà economica.

 

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E il settore privato?

Il vero elemento distintivo del potere in Umbria è costituto dal fatto che una fetta larghissima di quel sistema sociale che in teoria dovrebbe vivere di mercato e libera iniziativa è nella realtà dipendente dalla politica. Questa dinamica è essenziale per comprendere le caratteristiche dominanti dell’Umbria, il suo immobilismo, il suo asservimento e la soggezione generalizzata ad un ceto politico mediocre, ma che non ha alcun serio antagonista sulla scena politica né su quella culturale. Facciamo alcuni esempi. La lobby imprenditoriale più potente della regione è quella delle tre “C” cioè i cavatori, i costruttori e i cementieri da cui dipende anche una parte dell’informazione. Questi imprenditori vivono in presa diretta con la politica per tanti motivi. Primo, perché le concessioni per lo sfruttamento delle cave da cui si estraggono gli inerti necessari al calcestruzzo dipendono dalla Regione. Secondo, perché tutta la politica dell’urbanistica selvaggia che ha massacrato i centri storici e condotto alla realizzazione di centri commerciali alle porte di ogni città è stata pianificata in accordo con questi imprenditori, qualche volta generando anche il sospetto della creazione di “fondi neri” destinati ai finanziamenti illegali della politica. Terzo, perché nei grandi affari in atto e in preparazione (strada Quadrilatero Marche-Umbria, trasformazione in autostrada della E 45 e subappalti) c’è una torta gigantesca da spartirsi senza rumore e senza rompiscatole tra i piedi.

Esiste poi un altro sistema attraverso il quale la politica si è “comprata” da tempo l’imprenditoria umbra. Si tratta della gestione pilotata dei fondi europei e, soprattutto, dei soldi europei destinati alla formazione.

 Di cosa si tratta?

Nei rapporti tra le forze sociali e nella relaziono tra imprese ed istituzioni, in Umbria vige un totem inscalfibile che è impossibile mettere in discussione. Si tratta della “concertazione”, a cui si richiama anche lo statuto regionale, ovvero il principio secondo il quale le decisioni più importanti devono essere assunte dalla politica in accordo con le parti sociali. Con una abilità camaleontica e un notevole carisma decisionista, Maria Rita Lorenzetti nel suo decennio di governo dell’Umbria ha trasformato questo nobile principio di derivazione sindacal-assemblearista in un metodo di amministrazione dirigista basata sul rapporto diretto tra i vertici della politica (cioè lei stessa) e le associazioni di categoria. Si badi bene, non gli imprenditori, ma quella ristrettissima cerchia di comando ai vertici delle associazioni. Da allora ad oggi, la politica tiene al guinzaglio questo mondo. Le associazioni degli imprenditori, dei commercianti, degli artigiani, degli agricoltori, ma anche tutti sindacati hanno dato vita a ben 218 enti di formazione accreditati nel campo della formazione a cui la Regione destina milioni di euro ogni anno . Questo corto circuito è una tenaglia che paralizza l’Umbria, subordinando ogni potenziale dinamismo all’esigenza di controllo totalizzante di cui la massoneria è il corollario.

La massoneria costituisce un sistema di potere a sè stante o è ben amalgamata in queste logiche partitiche?

La massoneria svolge varie funzioni in una società chiusa su stessa come questa, ma in generale è più valida la seconda ipotesi che non la prima. In linea di massima, le trenta logge che vedono in evidenza assoluta il Grande Oriente d’Italia servono come camera di compensazione e luogo di dialogo nascosto tra mondi altrimenti conflittuali. Cioè, da un lato il potere politico-burocratico della sinistra e dall’altra il mondo delle professioni e dei ceti borghesi. Qui la burocrazia conta quanto la politica e la massonerie vive in connessione con questi poteri. Basta pensare che il nuovo presidente del Collegio dei Maestri Venerabili dell’Umbria è Antonio Perelli, cioè uno dei 64 top manager della Regione con stipendio medio sui 96 mila euro annui.

La seconda funzione svolta dai “fratelli” è quella di vero e proprio comando. In Umbria è attiva una super loggia, formata da una ventina di persone appartenenti al mondo delle professioni, di alcuni settori imprenditoriali, dell’alta burocrazia regionale e sanitaria e dell’università che opera al di fuori della fratellanza ufficiale nel senso al di fuori della ritualità massonica. Questo secondo livello della massoneria interviene quando sono in ballo gli affari più importanti e costituisce una cabina di regia in grado spesso di sovrapporsi alla stessa Regione.

Come mai il centro-destra non è mai riuscito ad imporsi come alternativa?

La subalternità del centrodestra deriva dalla soggezione alla sinistra dei ceti sociali di riferimento elettorale dello stesso centrodestra. Per questo motivo, ad esempio, può accadere che alle ultime elezioni regionali il Pdl prenda più voti del Pd, ma poi quei consensi tornano tutti a sinistra alle elezioni amministrative quando in ballo ci sono i soldi e la vita della gente tenuta sotto controllo dai padroni del vapore. Gli esponenti politici del Pdl vivono una contraddizione che è speculare agli amministratori pubblici della sinistra. Questi ultimi sacrificano gli interessi delle loro comunità per favorire il potere economico-politico del partito perugino e quelli del centrodestra appoggiano ogni iniziativa economico-speculativa partorita dal connubio tra gli imprenditori (prenditori) e il Pd per paura di schierarsi contro gli interessi dell’impresa. Una duplica dinamica perversa che strangola l’Umbria e non produce alternative politiche.

Intervista a cura di Roberto Guiscardo

 

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3 comments

I “silenzi” del Movimento 5 stelle. 21 Aprile 2016 - 10:24

[…] amministra l’Umbria, ma bensì per il suo stipendio, pagato dalla lega Coop centro Italia, che non è una novità. Eppure gli argomenti non mancano: Appaltopoli, Sanitopoli, gestione dei rifiuti, sanità, lobby […]

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Aldo 17 Agosto 2016 - 5:36

E’ dall’epoca cosi detta risorgimentale che la massoneria perugina fa il bello e il cattivo tempo. L’annessione forzata al regno burletta dei Savoia, fu fatta col trucco del plebiscito, però nessuno dice che a tale evento poterono partecipare circa seicento persone, solo chi aveva un reddito alto poté esprimersi, questa era la democrazia dei massoni. Purtroppo le classi popolari si lasciarono infinocchiare ed ancora oggi proseguono in questa strada. A QUANDO LA VERA RIVOLUZIONE POPOLARE CHE ABBATTA LA GENIA MASSONICA?

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Aldo 17 Agosto 2016 - 5:43

E’ dal tempo del così detto risorgimento che la massoneria fa il bello e il cattivo tempo a Perugia. L’annessione al regno burletta dei Savoia fu espressa con un “plebiscito”, cui poterono partecipare
circa seicento persone che avevano un reddito ricco (avvocati, medici, farmacisti, proprietari terrieri, nobili di nomina pontificia dediti al commercio ecc.). Purtroppo le classi popolari si fecero ingannare e ancora oggi si fanno condizionare dai servi della massoneria (partiti della così detta sinistra, ma che perseguono solo il potere). A QUANDO LA VERA RIVOLUZIONE CHE SPAZZI VIA LA FECCIA MASSONICA ED I SUOI SERVI SCIOCCHI?

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