Pescara, 6 ago – Pescara chi? La città di nessuno. Gabriele D’Annunzio viene rimosso dal logo della città abruzzese ad opera del nuovo sindaco del PD Marco Alessandrini. Alessandrini chi? Appunto.
La mossa, si mormora, sarebbe una rappresaglia contro la giunta precedente, che aveva associato ufficialmente la città al Vate, creando il logo “Pescara Città Dannunziana”. La nuova amministrazione pescarese così trasla simbolicamente la propria vittoria elettorale, ma invece di limitarsi a cambiare il nome di un senso unico, decide di evirare la città.
“Si tratta solo di guardare avanti, alla contemporaneità della città e al suo futuro”, cerca di difendersi il sindaco, che pare dimenticare una regola fondamentale non solo in letteratura: ‘classico’ è ciò che è giovane per sempre. E l’imperitura giovinezza e l’attualità di D’Annunzio non sono soggette a dubbi. Ha toccato ogni latitudine dello spirito, ha unito gli opposti dell’esistenza, ha dominato la vita e fecondato terra e idee. Poeta, soldato, legislatore, legionario, reduce, esteta, avanguardista, creativo, creatore. Non è ancora possibile completare la lista di aggettivi accostabili al Vate. Una scalinata di idee diventate azioni che ci lascia irrimediabilmente indietro. È lui a guardare noi come al passato.
Per ora il sindaco non ha trovato appoggi ma solo critiche. Una su tutte quella di Giordano Bruno Guerri, che non poteva rimanere in silenzio visto il suo ruolo di presidente del Vittoriale degli Italiani e di ex consulente dell’immagine della città di Pescara. Guerri ricorda un dato che rappresenta una sentenza: Gabriele D’Annunzio è il secondo poeta italiano più cercato su internet, dopo un certo Dante Alighieri.
Cosa guadagna Pescara con questa decisione? Niente. Fra i motivi spuntati che l’amministrazione ha elencato, ci sarebbe anche quello di non vincolare la città ad uno solo – seppure il più illustre – dei suoi cittadini. Un’affermazione di indipendenza quindi, e di perequazione nei confronti di altri pescaresi famosi. Ma questa operazione viene fatta da Pescara contro se stessa. La città concedendosi a D’Annunzio non capitola nei confronti di un padrone straniero: consegna invece la fascia al proprio capitano. Non c’è torto a nessuno in questo, tanto meno agli altri illustri pescaresi, che non possono raggiungere la fama che il Vate vanta sia in Italia che all’estero, e ancora meno possono emularne le gesta. Del resto di persone così ne nascono poche, e questa è nata a Pescara. Se la godano.
Cosa perde invece Pescara? Tanto. In un periodo in cui le città si inventano di aver dato nobili natali – che sia ad un illustre personaggio o ad un illustre prodotto – Pescara rimette ‘sul mercato’ il Vate. Lo svincola a parametro zero, lasciando a qualche centro minore, magari dove D’Annunzio si è fermato a mangiare, di farsi avanti per raccogliere l’eredità. Condannando così la città natale a rigirarsi nel letto della crisi economica senza una sola stella a cui guardare.
L’errore pare quindi madornale. E imperdonabile. La potenza comunicativa e immaginifica del poeta-soldato è ancora intatta e proprio quest’anno alla sua eco si somma quella dell’anniversario della Grande guerra, una donna che D’Annunzio ha amato profondamente e dalle cui braccia è partito per l’impresa fiumana. Partì da Ronchi, detta poi ‘dei legionari’, che in questo periodo qualcuno vorrebbe intitolare ai partigiani.
D’Annunzio è quindi sotto attacco da parte di nani stanchi di vivere all’ombra del gigante. Nelle loro città il Comandante non può trovare onori, perché lui è “d’un’altra patria e crede negli eroi”.
Simone Pellico