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Il riso italiano vola. Grazie all’etichetta di origine e ai dazi

by Fabrizio Vincenti
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Roma, 3 feb – L’etichetta d’origine, un provvedimento a lungo osteggiato da lobby di ogni genere, paga. Eccome. Lo rileva una analisi di Coldiretti e se ne sono accorti i coltivatori italiani di riso. A un anno di distanza dall’entrata in vigore dell’obbligo di indicare in etichetta l’origine del riso, infatti, hanno visto aumentare sino al 75 per cento le quotazioni dei raccolti Made in Italy. Dopo che questi erano scesi a valori insostenibili per i produttori al punto da mettere a rischio la stessa sopravvivenza della coltura dalle nostre parti.

Il riso italiano finalmente riconoscibile in etichetta 

Lo rileva una analisi di Coldiretti che evidenzia un aumento del 70 per cento per le quotazioni per la varietà Arborio, che ha raggiunto i 520 euro a tonnellata. Per il Selenio l’incremento è stato addirittura del 75 per cento con 490 euro a tonnellata. Variazioni positive anche per tutti gli altri risi Made in Italy: dal Roma +54 per cento, al Sant’Andrea +49, dal Carnaroli + 55 al Vialone Nano +32, fino al Lungo B +20. “L’assenza dell’indicazione chiara dell’origine – precisa la Coldiretti – non consentiva di conoscere un elemento di scelta determinante per le caratteristiche qualitative ed impediva anche ai consumatori di sostenere le realtà produttive nazionali e con esse il lavoro e l’economia del territorio.

L’indicazione in etichetta dell’origine per il riso deve riportare le diciture “Paese di coltivazione del riso”, “Paese di lavorazione” e “Paese di confezionamento”. Qualora le fasi di coltivazione, lavorazione e confezionamento del riso avvengano nello stesso Paese, può essere recata in etichetta la dicitura “origine del riso”, seguita dal nome del Paese. In caso di riso coltivato o lavorato in più Paesi, possono essere utilizzate le diciture “UE”, “non UE”, ed “UE e non UE”.

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I dazi sul riso ci hanno salvato

Ma alla valorizzazione del nostro riso ha contribuito anche lo stop imposto all’invasione del riso asiatico nell’Unione Europea. Da metà gennaio 2019 l’Ue ha messo finalmente i dazi sulle importazioni provenienti da Cambogia e Myanmar (ex Birmania) che fanno concorrenza sleale ai produttori italiani. In particolare, sono previsti dazi solo sul riso lavorato e semilavorato a scalare per un periodo non superiore a tre anni, ma è possibile una proroga ove sia giustificata da particolari circostanze. Enorme però il danno economico generato dai volumi di importazioni di riso, che dal 2011 al 2018 sono aumentati del 256 per cento, finendo per attivare la clausola di salvaguardia e lo stop alle agevolazioni a dazio zero. “Occorre lavorare per estenderli anche al riso non lavorato.

Un obiettivo che – spiega Ettore Prandini, presidente di Coldiretti – potrebbe arrivare presto a seguito della verifica in atto da parte dell’Unione Europea sul deterioramento dello stato dei diritti umani e dei diritti dei lavoratori nel Myamar che potrebbe determinare l’avvio di una procedura per la sospensione del regime preferenziale EBA, come già accaduto alla Cambogia, che porterebbe al ripristino strutturale dei dazi anche per il riso non lavorato”. In gioco, ricorda Coldiretti, c’è il primato dell’Italia in Europa: il nostro Paese è il primo produttore di riso con 1,40 milioni di tonnellate su un territorio coltivato da circa 4mila aziende di 219.300 ettari, che copre circa il 50 per cento dell’intera produzione Ue con una gamma varietale unica.

Fabrizio Vincenti

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