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Salvatore o boia? Marchionne, un manager nell'epoca della deindustrializzazione

by La Redazione
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Roma, 25 lug – Ufficialmente ricoverato per un intervento alla spalla, Sergio Marchionne è morto all’ospedale di Zurigo dove era ricoverato dal 27 giugno. Il decesso sarebbe stato causato, in seguito a complicazioni post operatorie inaspettate, da un arresto cardiaco. E’ quindi stato escluso, anche da fonti vicine alla famiglia (come riportato da Il Sole 24 ore), che il manager della Fiat avesse un tumore. Su di lui il giudizio, come quasi sempre accade quando ci si trova di fronte a forti personalità che ricoprono ruoli di rilievo, non è affatto unanime. Non lo è stato quando ha risolto quella che sembrava una crisi senza ritorno della Fiat, non lo sarà neppure nei prossimi giorni quando la storica azienda italiana dovrà affrontare un nuovo ciclo disseminato di punti interrogativi.
Perché di fatto con Marchionne, qualunque cosa si pensi del suo operato, si chiude un’epoca. Da parte nostra ci sembra doveroso evitare di cadere nel triste gioco mediatico che finisce sempre per sindacare sulla vita privata di chi non può più replicare. Non ci interessa dunque incensare o denigrare i pullover di un manager, piuttosto che il carattere della persona. Marchionne resterà un personaggio controverso, qualunque cosa verrà scritta su di lui. E’ indubbio in ogni caso che l’ex amministratore delegato di Fca abbia salvato la Fiat, che nel 2003 era un’azienda tecnicamente fallita. Il punto è: come, o per meglio dire, a che prezzo l’ha salvata? Seguendo quella che appare sempre più come una pedissequa volontà di deindustrializzare l’Italia.
Un aspetto difficilmente contestabile se consideriamo che la Fiat ha perso, durante i 14 anni in cui Marchionne ne è stato alla guida, circa 21 mila posti di lavoro, passando da 44 mila dipendenti agli attuali 23 mila. Un dimezzamento del personale che per forza di cose si traduce con una netta perdita di capacità produttiva: nel 2003 la Fiat in Italia produceva un milione di auto all’anno, adesso ne produce 400 mila, ovvero meno della metà. Il resto, circa 4 milioni di autoveicoli, è prodotto dalla Fiat all’estero. E’ chiaro quindi che spostare la produzione oltreconfine non abbia giovato all’Italia, ma si tratta di una linea portata avanti da Marchionne grazie alla totale assenza dello Stato, mai come oggi struzzo in politica economica. Uno Stato che non persegue più l’industrializzazione e la piena occupazione. Non si tratta quindi di aprire infinite parentesi sulle indubbie capacità imprenditoriali dell’ex ad. Si tratta al contrario di stigmatizzare la totale libertà di azione concessagli dai governi italiani.
Perché uno Stato con le mani legate che non fa nulla per liberarsi dalla stretta indotta, inevitabilmente non investe ma si fa investire. Di conseguenza si può dire senza incorrere in un macroscopico errore che Marchionne ha da una parte salvato 23 mila posti di lavoro e dall’altra usato la mannaia facendone perdere quasi altrettanti. Uno strano caso di dottor Jekyll e Mr. Hyde? No, più prosaicamente è stato uno dei tanti, forse tra i principali, esecutori di chi ha smantellato in Italia i diritti dei lavoratori e la politica industriale che dovremmo perseguire. Non è di certo il mandante di tutto questo. Che ruolo avrebbe avuto dunque Marchionne in uno stato sovrano con una moneta sovrana? Sarebbe finito alla gogna? Niente affatto, sarebbe stato un grande dirigente come è stato, soltanto al servizio della sua nazione.
Alessandro Della Guglia
Filippo Burla

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3 comments

Sergio Marchionne, ovvero la beatificazione del padrone 26 Luglio 2018 - 10:34

[…] Salvatore o boia? Marchionne, un manager nell’epoca della deindustrializzazione […]

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paolo 9 Agosto 2018 - 2:52

beh…
se tecnicamente fiat era fallita nel 2003,
direi che è stato un salvatore:
quindi più che dire “ha licenziato 21.000 lavoratori…”
si dovrebbe dire:
“è riuscito a salvare la fiat,salvando un posto di lavoro per 23.000 lavoratori”
riguardo la diminuzione delle auto,
forse non vi rendete conto di una cosa:
in italia abbiamo GIA’ un’auto ogni un italiano e mezzo…
compresi lattanti e ultranovantenni.
a chi dovrebbe vendere ulteriori auto?
e se si vuol farlo,ci si deve confrontare con il mercato..
che oggi per aquistare un’auto
la vuole premium
(quindi i numeri in gioco calano)
oppure fabbricata in loco,per questioni di prezzo
e dazi.
dal mio punto di vista,
non è che ci siano tante scappatoie….
ma certo,i tanti che lo criticano sicuramente avrebbero fatto meglio,eh?

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paolo 9 Agosto 2018 - 2:56

beh…
se tecnicamente fiat era fallita nel 2003,
direi che è stato un salvatore:
quindi più che dire “ha licenziato 21.000 lavoratori…”
si dovrebbe dire:
“è riuscito a salvare la fiat,salvando un posto di lavoro per 23.000 lavoratori”
riguardo la diminuzione delle auto,
forse non vi rendete conto di una cosa:
in italia abbiamo GIA’ un’auto ogni un italiano e mezzo…
compresi lattanti e ultranovantenni.
a chi dovrebbe vendere ulteriori auto?
resta solo l’estero.
ma se si vuol farlo,ci si deve confrontare con il mercato..
che oggi per aquistare un’auto
la vuole premium
(quindi i numeri in gioco calano)
oppure fabbricata in loco,per questioni di prezzo
e dazi.
dal mio punto di vista,
non è che ci siano tante scappatoie….
ma certo,i tanti che lo criticano sicuramente avrebbero fatto meglio,eh?

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