La prima questione riguarda Tim Brasil, operatore nel settore delle comunicazioni mobili. Il mercato sudamericano è promettente e garantisce interessanti ritorni, con la controllata carioca a fare la sua discreta parte. Suo diretto concorrente è però l’operatore Vivo, controllato quest’ultimo da Telefonica. Il Cade, l’organismo di Brasilia deputato alla vigilanza sulla concorrenza, ha già sanzionato il gruppo spagnolo per l’incremento della propria quota in Telco, il veicolo attraverso il quale si esprime la maggioranza relativa di Telecom Italia. Non è escluso che l’antitrust brasiliano possa addirittura arrivare a chiedere lo spezzatino di Tim Brasil, con vantaggi consistenti per gli spagnoli che vedrebbero eliminato d’imperio un diretto concorrente.
La seconda partita si gioca invece in “casa”, con la convocazione per venerdì prossimo dell’assemblea dei soci chiamata ad esprimersi sulla revoca del consiglio di amministrazione. Il domino è partito dalla richiesta di Marco Fossati, fu patron della Star e attualmente azionista con una quota del 5%, che contesta la gestione degli ultimi anni con il titolo che ha perso il 75% del suo valore fino ai minimi odierni. Investitori istituzionali che detengono quote più o meno consistenti del pacchetto azionario della società sembrano orientati ad un voto favorevole, non fosse che si è aperto un contenzioso sulla posizione di Blackrock. Il fondo americano ha infatti, a quel che risulta dalle comunicazioni alla Sec (l’ente di controllo sui mercati borsistici a stelle e strisce), pressoché raddoppiato la propria partecipazione dal 5% al 10% circa. Fin qui nulla di straordinario, non fosse che la normativa italiana impone precisi obblighi informativi nei confronti della Consob qualora si superi la soglia del 5%. Stando alle parole del presidente della commissione Giuseppe Vegas tale informazione non è stata comunicata, rendendo così plausibile la possibilità che il fondo si veda impedito il diritto di voto per la quota eccedente la soglia-limite. Piccata la reazione di Vegas: «Si pone una questione di manipolazione informativa: il mercato italiano è stato privato di una informazione rilevantissima. Non siamo una colonia».
Forse più un auspicio che una realtà, dato che dopo l’uscita dei soci italiani di riferimento il futuro dell’ex monopolista delle telecomunicazioni va inesorabilmente a giocarsi all’estero. E di fronte alla cessione inusitata dell’ennesimo asset strategico, non c’è golden power che tenga.
Filippo Burla
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