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Morire di eroina nel 2015: ecco perché succede

by La Redazione
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eroina-1Roma, 5 gen – A Perugia, una città in cui ogni giorno si spendono 20mila euro per l’acquisto di dosi di eroina e 40mila per comperare l’cocaina, il nuovo anno è iniziato con una scena che sembrerebbe d’altri tempi: una coppia riversa a terra, in mezzo alla strada. Lui morto a causa di una dose di troppo, lei ripresa per i capelli dai sanitari prontamente intervenuti. Come è possibile vedere queste scene nel 2015?

Innanzitutto è sempre bene ricordare una nozione di partenza. Le morti da droga non sono soltanto quelle acute, da overdose o “incidente” tossico su qualche organo (ad esempio della cocaina sul cuore), ma sono anche quelle indirettamente provocate per infezioni, morti violente e malattie varie rese meno curabili dalle condizioni di tossicodipendenza.

In Italia la “droga” ha avuto una fase epidemica (anni ’70) che ha prodotto un’ondata, spesso dimenticata, di morti che hanno decimato intere generazioni, quando ancora non esistevano trattamenti (almeno in Italia, dove i trattamenti organizzati arrivano nei tardi anni ’80). Da allora l’eroina fa meno paura, perché diviene effettivamente meno mortale, e la dipendenza curabile. Tuttavia, la differenza tra i risultati possibili e quelli “abituali” è ancora impressionante.

La morte per overdose non deve stupire nel 2015, perché innanzitutto l’eroina non è mai stata in diminuzione (in termini di nuovi casi), e in secondo luogo perché purtroppo, se da una parte le cure sono efficaci, spesso sono interrotte presto, o praticate in maniera non ottimale. Come si fa a morire di overdose nel 2015? Innanzitutto il primo fattore di rischio, dato per scontato, è la tossicodipendenza: un luogo comune vuole le overdose degli eventi legati all’eccessiva purezza dell’eroina, oppure alla presenza di contaminanti tossici (eroine killer), oppure a vendette esemplari contro clienti che non pagano.

Ma i dati dicono altro: muoiono di overdose soprattutto le persone che smettono il trattamento (metadone) oppure lo assumono in dosi piccole, perché il mantenimento con metadone è il primo fattore per limitare scientificamente il numero di overdose, per un meccanismo farmacologico di “blocco” degli effetti dell’eroina.

In Italia si stima che il rischio di morte scenda da 8.9‰ al 4,1‰ nel primo anno di cura metadonica, e al 1.9‰ se la cura procede. I dati ministeriali rivelano dosi medie di questo farmaco, somministrate nei Servizi Pubblici, intorno a 50 mg (inferiori alla dose minima considerata efficace, anche nel blocco delle overdose). Chi è dimesso dalle comunità o dagli ospedali sotto la rassicurante (e invece tutt’altro) etichetta di “disintossicato” è predisposto all’overdose, e questa predisposizione è data dalla dipendenza, che porterà ad una ricaduta priva di controllo, con un desiderio che è come una roulette russa.

Il desiderio della droga potrà puntare su dosi superiori a quelle che la persona tollera, dopo essere stata “spogliata” della protezione naturale data dall’assuefazione del sistema oppiaceo, ma ancora in balia della sua dipendenza, cosicché la dose “desiderata” forse sarà letale. La disintossicazione non porta bene, per così dire.

Destino ben diverso è il destino dei disintossicati: in uno studio sui tossicodipendenti di Milano, la mortalità totale è del 21,6‰, di cui 9,2‰ per overdose in un gruppo di 1730 si sottopone disintossicazione con metadone, contro valori di 11,6‰ e 3,7‰ per i 1726 che invece seguono una terapia di mantenimento con lo stesso farmaco. Si tratta sostanzialmente di un uso scorretto del medicinale, che è stato messo a punto come strumento per la cura e riabilitazione della dipendenza.

L’overdose non è un errore, quindi. Sarebbe peraltro strano che proprio i tossicodipendenti, esperti nel provarsi le droghe addosso, facessero spesso errori del genere, e soprattutto appare strano che più passa il tempo, più a “sbagliare” dose fino a morirne siano tossicodipendenti più anziani, in teoria più esperti. In Italia, in particolare rispetto agli altri paesi Europei, sono i tossicodipendenti over-35 a morire, e non perché non siano mai stati curati, ma perché sono usciti dal trattamento dopo un primo periodo di buoni risultati, o di contenimento.

Alcune città possono avere la sfortuna di avere la bandierina nera, ma questo è un problema relativo , perché le falle del sistema sanitario sono “brutte abitudini” nazionali. Certamente spendere migliaia di euro per un presunto programma riabilitativo per poi trovarsi un soggetto che fugge dalla comunità e muore di overdose (uno dei casi recenti, nel Lazio) ha poco senso quando con molta meno spesa la persona sarebbe protetta dall’overdose, e magari anche curata.

L’isteria che spinge a sospendere le cure dopo qualche tempo dalla scomparsa dei sintomi, è, in una malattia che prevede ricadute, inaccettabile, tanto meno un principio su cui fondare l’attività di varie comunità o luoghi di “disintossicazione” più o meno rischiosi. E soprattutto, costosi. Una spending review della morte è quantomeno opportuna, se non altro per evitare di trovarci a investire in overdose.

Matteo Pacini

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